Marinella

Maurizio Marinella:

La bottega dell’eleganza italiana

di Barbara Martusciello

Fotografie di Franz Gustincich

Maurizio Marinella portrayed in his historical shop in Naples

Maurizio Marinella ritratto attraverso le vetrine della sua storica bottega napoletana

Incontriamo Maurizio Marinella, gran capitano di Marinella, realtà imprenditoriale della quale porta avanti con successo una filosofia impostata da don Eugenio prima e da Luigi poi, basata sulle relazioni umane, sulla cortesia e la disponibilità. Senza dimenticare il rispetto – per nulla ovvio – verso i propri dipendenti. Ciò ha reso questo punto vendita di abbigliamento particolare qualcosa di così duraturo nel tempo e tanto speciale: sorta di salotto dell’eleganza e degli incontri tra persone affini, provenienti da ogni parte del mondo.

 

La storia di quest’azienda familiare inizia sul crinale tragico della prima guerra mondiale, in tempi in cui difficilmente poteva venire in mente a qualcuno di investire in nuove aperture di negozi e di lanciarsi in imprese di raffinata qualità. Eppure, il napoletano Eugenio Marinella apre proprio nel 1914 una piccola bottega di vestiario: in una delle zone più belle di Napoli, quella Riviera di Chiaia resa celebre in Fotografia da Giorgio Sommer. Davanti a quei 20 metri quadrati passava tutta l’alta società napoletana: che iniziò a entrare… Intanto, la struttura si allargava ad alcuni atelier per la manifattura di camicie e di cravatte.

Marinella ties cravatte Naples, laboratory

L’intuito di questo fine uomo d’affari e conoscitore dell’eccellenza sartoriale fu tale da farlo guardare a quelli che, nel settore, primeggiavano: gli inglesi. Londra era una delle capitali di una certa ricercatezza nel vestire: forse, anche perché Lord George Bryan Brummell, il primo dandy della storia, era un londinese, come Oscar Wilde, altra personalità dandy attenta al proprio look.

Don Eugenio queste cose deve averle pensate, quando ha portato un po’ di Inghilterra a Napoli: prodotti della moda londinese – impermeabili, ombrelli, cappelli, persino profumi delle grandi marche – venduti in esclusiva e stoffe di gran classe prima introvabili in terra partenopea.

silk fabric for making ties

I tessuti di seta prima della trasformazione in pregiate cravatte

Non pago, assume camiciai da Parigi perché insegnino ai suoi operai l’arte del taglio; Napoli aveva già una buona tradizione in questo senso ma così egli dà luogo a un interessante mix dove la qualità territoriale si consolida. Il nostro fatto-a-Napoli primeggia per la manifattura, i dettagli, quei particolari sartoriali che fanno la differenza.

Marinella ties cravatte Naples, laboratory

Intanto, le sue cravatte sono apprezzatissime: realizzate da un quadrato ripiegato verso l’interno sette volte – per ciò detta sette pieghe – per renderle più compatte, difficilissime da sgualcire e dalla vestibilità impeccabile.

fantasy of Marinella ties as a wheel

Una ruota di cravatte degli anni passati

Gli affari vanno bene, gli anni passano: le due guerre, i mutamenti socio-culturali e dei costumi, l’imporsi di una nuova borghesia e il prorompere dell’american-style obbligano l’azienda a un cambiamento di rotta che Don Eugenio sente necessario; così, si concentra sulla produzione di cravatte, sbaraglia la concorrenza e vince ancora una volta, individuando il capo top diventato brand della casa Marinella. Lo è ancora oggi, specialmente da quando l’allora Presidente della Repubblica e amico di famiglia Francesco Cossiga, oltre a indossarlo ne regala alcune come dono ufficiale ai Capi di Stato esteri: cinque cravatte Marinella in una bella scatola rappresentano un cadeau di un Made-in-Italy ricercato e apprezzato nel mondo. Con il G7 pianificato a Napoli nel 1994 e la scelta degli organizzatori di offrire a tutti i Capi di Stato un simile dono la piccola ditta napoletana entra nell’olimpo dell’esclusività e la qualità internazionale.

Marinella ties cravatte Naples

Maurizio Marinella, protagonista della terza generazione della famiglia, ha raccolto quell’eredità confermando la cura dei materiali e dei dettagli sartoriali e portando come proprio bagaglio un’intelligente modernità nel marketing e nella promozione e una capacità imprenditoriale di ampio respiro tale da far affermare il marchio E. Marinella anche all’estero, dagli Stati Uniti al Giappone.

L’Europa, possiamo dire, era già qui, come abbiamo visto: Napoli, Parigi, Londra e un’intrigante mescolanza tra autenticamente napoletano e very british.

Maurizio Marinella, italian tie designer, portrayed sat on a barber shop chair in his "family museum

Maurizio Marinella

Chiediamo a Maurizio Marinella di confermarci quanto detto; iniziamo la nostra intervista con una domanda un po’ provocatoria:

Ha mai indossato cravatte della concorrenza?

“A me piacciono le belle cose e mi diverto a vedere quel che di bello producono anche altri. Mio padre da piccolo mi ripeteva questo concetto: Maurizio, guarda sempre le vetrine, i prodotti esposti, con occhio attento, c’è sempre da imparare. Tornando alla sua domanda: non le compro, ma talvolta me le hanno regalate.”

E lei che ha fatto?

“Mi sono messo in gioco, le ho indossate. Nessun problema. Può diventarlo se, invece, indosso quelle particolarmente belle e originali delle nostre. Mi spiego, citando ancora qualcuno della mia famiglia, mio nonno, che sosteneva fosse meglio non mettere cravatte molto significative perché i ricchi e raffinati clienti non avrebbero gradito – allora questa complicazione esisteva – acquistare la stessa tipologia di cravatta indossata da chi la vendeva. Mio padre aveva un’atra idea, sensata, ovvero che indossando in negozio una cravatta particolarmente caratterizzata i clienti avrebbero ammirato quella e non le altre, pur di qualità ed esteticamente rilevanti, che avevamo da vendere. Io, poi, non ho moltissime cravatte mie, una ventina, molto classiche”.

Marinella's Showroom in Naples

Lo showroom di Marinella

Lei ha citato suo padre e suo nonno; ebbene: ci racconta i suoi esordi nell’azienda di famiglia?

“Credo si possa dire che sono stato messo al mondo per proseguire il lavoro di famiglia. Da figlio unico maschio, il mio destino era tracciato e a quei tempi non era pensabile trasgredire a questi progetti segnati dai genitori e dai nonni. Così fu. Ogni domenica si andava a casa del nonno a mangiare il famoso ragù napoletano: in uno di quei giorni di festa lui e mio padre mi presero per mano, mi portarono in una stanza e mi dissero:
Ora sei grande – avrò avuto circa otto anni –, da domani scendi in negozio perché devi cominciare respirare quest’atmosfera. Non ho avuto la possibilità di fare altro. Li accontentai.”

Maurizio Marinella ritratto al banco del negozio napoletano

Maurizio Marinella ritratto al banco del negozio napoletano

Fu dura? Era così piccolo…

“Fu molto dura: mentre i miei amici andavano a giocare a pallone alla Villa Comunale io dovevo respirare l’atmosfera… con tanto rigore, regole precise, difficili da capire per un bambino… Piano piano, però, mi sono impratichito, mentre continuavo a studiare, lavorando…”

Ha potuto proseguire in ciò che le piaceva?

“Sì, mi sono laureato in Economia e Commercio. Ricordo che quando mi iscrissi in Facoltà successe il finimondo a casa poiché i miei non volevano…”

Temevano ciò l’allontanasse dal negozio, dall’azienda di famiglia?

“Sì. Ma la spuntai. Ci ho messo un po’ di più perché comunque dovevo continuare a lavorare”

Silk textile printing block

Una matrice per la stampa della seta per le cravatte esclusive. Anni ’30

Cosa faceva, esattamente?

“Un po’ tutto, ma all’età di 18 anni, per uscire da quelle mura, mi inventai di andare a fare le consegne fuori, alle persone che ordinavano i nostri prodotti ma non potevano venire a Napoli; o che volevamo raggiungere. Ricordo la mia telefonata al Commendator Pietro Barilla: mi presentai, Sono il figlio di Marinella – lui aveva un ottimo rapporto con mio padre – se vuole la raggiungo a Parma perché lei scelga tra i nostri nuovi arrivi. Avevo una 850 special, riempii l’auto e mi misi in viaggio. Non mi segnai nemmeno l’indirizzo perché era Villa Barilla, Viale Barilla, Parma (ride). Lui fu felice di conoscermi, ordinò settanta cravatte e mi riempì la macchina di biscotti, sughi, pasta. Un successone. Da quel momento presi l’abitudine di muovermi con questa modalità e ogni settimana incontravo un cliente diverso…”

…e che cliente…

“E’ vero. Il secondo fu Giulio Andreotti. C’era anche Cossiga, che poi anni dopo – come lei ha ben raccontato – divenne un nostro importante cliente e una personalità affezionata alla nostra qualità napoletana… che premiò anche da Presidente della Repubblica, come lei ha ricordato…”

La sua vita quindi si è svolta molto in negozio e nell’azienda ma anche fuori…

“Respirai un po’ di autonomia e di libertà dal negozio, ma di fatto ero sempre lì presente…”

Il laboratorio

Il laboratorio

Come è cambiato il lavoro dell’azienda, negli anni? Ci sono stati momenti difficili, e di grande cambiamento, specialmente per la guerra, la seconda…

“Ai tempi di mio nonno, l’uomo, quando si sposava portava anche lui il corredo: dodici di tutto, tra camice bianche, azzurre, mutande dello stesso tessuto delle camice, i polsi e i colli di ricambio, le maglie…; ci specializzammo in questo prodotto. Abbiamo avuto prodotti inglesi sino alla prima guerra mondiale. Poi, con la Seconda guerra in arrivo i rapporti con i prodotti da importare e vendere dovettero modificarsi…”

…per via delle sanzioni…

“Esattamente, sì; lo Stato italiano allora aveva il motto: produrre italiano consumare italiano. Da quel momento la nostra azienda si concentrò sulla nostra manifattura, che mio nonno volle affinata, all’altezza e anzi meglio di quella estera. Così fu. Poi ci specializzammo nel prodotto che ci contraddistingue forse di più: le cravatte, come lei bene ha evidenziato.”

Marinella's Showroom in Naples

Lo showroom di Marinella

Come è cambiato il suo, di lavoro, nel corso del tempo? Anche nel suo caso qualche cambiamento nel settore c’è stato…

“Ce ne sono stati, sì. Deve pensare al fatto che io ho avuto la fortuna di conoscere la produzione e il commercio come si faceva sia ai tempi di mio nonno che di mio padre, oltre ai miei, nel mio presente. Quindi ho potuto vedere le differenze sia in positivo ma anche in negativo…”

Nel negativo inseriamo anche un certo livellamento in basso del vestire maschile?

“Oh, certo! C’è stato un decadimento generale del gusto che direi connesso alla personalità dei singoli. Capisce cosa intendo? Parlo di eleganza non standard, preconfezionata, ma messa insieme seguendo un proprio stile, pur nelle regole del buon gusto. C’era una gran differenza nell’abbigliamento della mattina, del pomeriggio e della sera, e ognuno ci si atteneva ritagliandovi una tendenza personale. Dettagli significativi, distintivi…”

Oggi, invece, secondo lei?

“Oggi ci si affida ai manichini, alle riviste, ai personal shopper. Le racconto una storia: tre anni fa mi fermai fuori dal negozio di un amico a Napoli; c’era un manichino vestito di tutto punto con abiti pesantissimi, sciarpona caldissima, guanti e cappello compresi. A Napoli non fa mai tanto freddo… forse in Norvegia era idoneo un abbigliamento così… Lo feci notare al mio amico che convenne con me ma mi disse: “Noi mettiamo questi manichini in vetrina così combinati perché poi la gente vede il manichino e copia il look uguale uguale, e si compra tutto, pure accessori che forse non serviranno mai”. Le persone, cioè, si sentono tutelate da una scelta fatta a monte: da Dolce & Gabbana o altri nomi importanti. Così è…

Forse anche l’uso invasivo di smartphone per le foto e un’immediata pubblicazione social, e l’irrompere massiccio di blogger nel settore, ha amplificato questo tipo di comunicazione di Moda…

“Assolutamente sì, anche questo. Così tutti corrono a copiare la tendenza di turno dimenticando se stessi, i propri gusti”

Marinell's tie laboratory in naples

Un’immagine del laboratorio delle cravatte Marinella, Napoli

Oggi le vendite come vanno?

“In molti casi non troppo entusiasmanti, ma vanno bene se continuiamo a comportarci come abbiamo sempre fatto, trasmettendo la nostra filosofia; dato che noi non siamo ossessionati da bilanci, fatturati e grafici – non che non ci interessino! – preferiamo prima di tutto pensare al cliente, accogliendolo, consigliandolo, coccolandolo, riconoscendolo nella sua unicità. Dandogli il meglio e trasmettendo attraverso i nostri prodotti una Napoli diversa.”

Si riferisce a molti stereotipi e ai veri, tanti problemi e scandali? Camorra, spazzatura e terra dei fuochi…?

“Sì; e mozzarelle tossiche, acqua… ogni volta ce n’è una. Mi creda: quando si abbatte uno tsunami come quello, per esempio, della spazzatura in pochissimi giorni si azzera l’economia, il turismo, il commercio, l’agricoltura: tutto. Essere napoletani in quei giorni diventa molto, molto difficile. Lei pensi che accanto al mio negozio a Milano, nei giorni della storiaccia della terra dei fuochi con la connessa problematica dei prodotti agricoli e delle mozzarelle contaminati, una salumeria lì accanto aveva affisso il cartello: non prendiamo prodotti dalla Campania. Ecco: noi cerchiamo sempre di trasmettere una Napoli positiva, operosa, che si distingue per qualità, serietà, gentilezza…”

Dunque, gli ingredienti giusti per fare bene il suo lavoro quali sono?

“Entusiasmo, competenza, qualità sempre elevata, estro, attenzione ai dettagli, volontà di rappresentare e trasmettere una napoletanità alta, senso dell’accoglienza che il nostro Paese sta un po’ perdendo, non solo la nostra professione…”

Marinella ties cravatte Naples, laboratory

Lei consiglierebbe il suo lavoro, oggi, a un giovane? Cosa potrebbe, eventualmente, agevolarlo nell’ingresso in questa professione, o – come diceva suo nonno – nella sua atmosfera?

“Mah… io lo consiglierei perché è un bel lavoro, che ti permette di stare all’interno di un campo dell’eleganza di un certo tipo, che ti mette in contatto con tanta gente, ti dà la possibilità di viaggiare, di aprire la tua visuale… Lo consiglierei, ribadisco, ma devo anche dire che attualmente portare avanti una professione nel settore dell’abbigliamento, ma direi ogni attività, è molto duro e difficile. Io mi impego moltissimo, quindi chi volesse scegliere questo o un simile lavoro dovrà fare lo stesso. Io scendo in negozio ogni mattina alle 06.00 tutti i giorni fino alle 20.00 di sera. Controllo sempre tutto…”

Quindi disponibilità e dedizione li mettiamo tra gli ingredienti da non dimenticare?

“Assolutamente da non dimenticare! I giovani oggi vanno instradati, seguiti, altrimenti possono ignorare certi ingredienti, come questi che ho indicato, per esempio, o altri ugualmente importanti…”

Lei ha avuto, dopo una certa imposizione ai suoi inizi, da parte della sua famiglia, la fortuna di esempi essenziali, di due guide esperte come suo nonno e suo padre; questo non sempre può avvenire per altri…

“Vero, però ci sono le botteghe, o nel mio caso l’esperienza diretta con chi questo lavoro lo conosce e può insegnarlo, al di là del rapporto di tradizione da tramandare a livello familiare”

Marinella ties cravatte Naples, laboratory

Lei quindi sta perorando una causa, quella del passaggio di esperienza da maestro ad allievo? Dell’importanza di una scuola?

“Anche. Ma vorrei andare ancora più a fondo. Le racconto questo, che può intendere, potete intendere, come un grido dall’arme che viene dal Sud, dalla Campania, da Napoli, che sono territori della disoccupazione. Ebbene qui noi abbiamo due laboratori, grandi, attrezzatissimi, di cravatte eppure non riusciamo ad assumere giovani italiani che vogliano imparare questo mestiere. Ci crede?

Non stento, ma non capisco…

“Nemmeno io, nemmeno noi… ed ecco che le grandi sartorie stanno chiudendo, che a Napoli chi faceva le scarpe su misura sta lasciando questa attività, i celebri guantai partenopei anche, e così via…”

Mi sta dicendo che questi sono mestieri considerati antichi, che quindi stanno sparendo, e con loro le artigianalità e imprenditorialità di raffinata qualità ma familiari?

“Purtroppo sì…”

La scheda di lavorazione del lavaggio e restauro cravatte, un servizio offerto da Marinella.

La scheda di lavorazione del lavaggio e restauro cravatte, un servizio offerto da Marinella.

Ma ci sarebbe, invece, la richiesta da parte di clienti o potenziali?

“Di nicchia, ma c’è, è forte e si potrebbe rendere ancora più forte e ampia lavorandoci su… ma non da soli.”

Questo immagino sia un problema – solo fermandoci al territorio campano – anche di Salerno per le sue mozzarelle di bufala, per quanto concerne una produzione più massiccia, o di Torre del Greco per i suoi coralli, a riguardo di una produzione più sofisticata, per esempio…?

“E’ un’ ottima domanda ed è perfetta perché le dico che pochi anni fa sono tornato proprio a Torre del Greco, che lei conosce come eccellenza per la lavorazione dei coralli e dei cammei. Ebbene in una di queste aziende i proprietari ammettevano che molti dei lavoranti specializzati erano ormai anziani e, volendo via via assumere qualche giovane di Torre del Greco o anche dei dintorni che essi potessero formare, non ne riuscivano a trovare. Nemmeno lì, nemmeno loro! Però avevano domande per fare apprendistato da tutte le parti del mondo. Si proponevano, cioè, coreani, indiani, giapponesi, cinesi… Così, stavano vagliando questa ipotesi, considerando – sottolineavano sempre questi miei colleghi – che questi ragazzi stranieri hanno solitamente le dita più minute dei nostri, e un’agilità manuale notevole; non solo: molti orientali hanno una lunga storia come copiatori quindi sono più bravi nella resa di prodotti – perle di corallo, miniature di cammei, per esempio – che devono risultare tutti uguali. Come in un’operazione zen, tendono a superarsi nella resa identica di un certo manufatto; diversamente, molti altri lavoratori italiani sentono la necessità di apportare piccole variazioni, alcune minime modifiche, cioè qualcosa che non è richiesto in quel tipo di lavoro di tradizione, giungendo a una resa finale del prodotto completamente diversa da quella di partenza.”

Lei, invece, ha sottolineato, poco fa, parlando di lavoratori da formare e assumere dalla sua azienda, la qualifica nazionale, ovvero: “italiani”? Perché non accogliere apprendisti e operai e impiegati stranieri?

“Nessun pregiudizio, nessuna remora. Però le dico che chi viene nel nostro laboratorio e nel negozio, specialmente i clienti internazionali, vengono perché vogliono respirare l’Italia, Napoli, e desiderano il made-in-Italy: restano e resterebbero infastiditi nel constatare che tutto è, invece, in mani non italiane. Per fare un esempio: i nostri clienti giapponesi resterebbero basiti trovando un giapponese tra i nostri lavoratori, sentirebbe tradito quello spirito italiano che vogliono e comprano comprando le nostre cravatte. Tutto qui… Ma siamo apertissimi, ci mancherebbe…”

…anche perché se mi dice che i giovani italiani non sembrano troppo interessati a queste opportunità…

“La prima cosa che ci chiedono, prima ancora di capire il tipo di impegno e incarico richiesto, è: Quanto guadagno? Poi: Il sabato lavoro? Capisce? Si formano per poco tempo – noi abbiamo corsi interni – poi si sentono subito amministratori delegati, o disinteressati ad un impegno e a dettagli che nel nostro settore fanno la differenza. Invece, bisognerebbe far capire a questi ragazzi che esistono dei lavori dignitosissimi, che creano economia, danno da vivere onestamente e bene. In Italia non possiamo essere tutti dottori, servono anche gli infermieri…”

…o primi attori quando la richiesta è di caratteristi…

“Esatto! Poi se si vuole si può comunque studiare, laurearsi, come ho fatto io.”

Silk textile printing block

Silk textile printing block

Una matrice per la stampa della seta per le cravatte esclusive. Anni ’30

A questo punto mi può dire qualcosa di positivo che ci possa in qualche modo affrancare da questa situazione di stallo e ci possa portare potenzialmente fuori dalla crisi?

“Le dico questo: io sono un ottimista malato di napoletanità e italianità. Ebbene: il nostro è un brand pazzesco – l’Italia, Napoli – che fuori è apprezzatissimo. Non ci rendiamo conto di quanto ancora siamo ben considerati, fuori dall’Italia, nonostante i nostri guai. Il cibo, l’arte, l’artigianato, la creatività, la nostra cultura sono amatissimi all’estero. Abbiamo una forza ma una forza di cui non siamo consapevoli…”

…nemmeno la nostra politica è consapevole di questo, e poco fa per favorirla e valorizzarla…

“Lasciamo stare questo discorso che altrimenti stiamo qui mesi a discuterne e arrabbiarci. Pensiamo a chi, invece, ha portato a casa risultati pazzeschi proprio conscio dell’appeal dell’Italia: Eataly. Non ha fatto altro che scegliere il nome, quello, cibo + Italia, ii nostri migliori prodotti, riunirli e promuoverli all’interno di una struttura, poi di due, tre quattro in giro per il mondo.

Mi diceva Farinetti, tempo fa: Maurizio, noi a New York vendiamo 50, 60 e più forme di Parmigiano Reggiano al giorno! Le dirò di più: io ho due negozi in Giappone e si sa che i giapponesi sono molto sensibili verso la buona fattura, la qualità, la tradizione, la creatività, il fatto a mano, l’italianità, la napoletanità. Ebbene, lì lavora un ragazzo giapponese che sa tutte le battute di Totò a memoria, che recita in napoletano-nipponico. Incredibile. A Tokyo c’è il Museo della Canzone Napoletana, di tre piani!”

fantasy of Marinella ties as a wheel

Una ruota di cravatte degli anni passati

In parte dobbiamo ad un gruppo pop giapponese, i Pizzicato Five, la riscoperta e ri-commercializzazione della nostra musica anni Cinquanta e Sessanta; e a uno straniero – Tarantino – quelle dei B-movie nostrani e degli spaghetti western e di Sergio Leone…

“Ecco, vede? I profeti in patria sono difficili da trovare, qui da noi. Ma dovremmo imparare ad ascoltarli, o a farci noi carico di consolidare quel che abbiamo, di valorizzarlo…”

Lei ci è riuscito, tanto è vero che – recessione a parte, peraltro globale, mondiale – Marinella è conosciuta ovunque nel mondo ma anche in Italia, e le sue cravatte sono un must tanto che alcune di quelle vintage sono oggetti di culto…

Maurizio Marinella, italian tie designer, portrayed sat on a barber shop chair in his "family museum

Maurizio Marinella, il designer italiano delle cravatte, riratto seduto sulla sedia da barbiere del suo atelier: Ogni giovedì è offerto un taglio della barba ai suoi clienti più affezionati

“Per fortuna sì…”

Fortuna ma soprattutto tenacia, qualità, originalità, signorilità tutta napoletana e capacità di distinguersi da molto di quello che di commerciale c’è…

“La ringrazio. Aggiungerei a questi ingredienti – come li ha chiamati lei – anche sacrifici…”

Ripagati?

“Tutto sommato direi di sì”

Lei sembra una persona molto serena…

“Grazie, mi piace quel che dice. Credo di esserlo. Amo quel che faccio, le persone con cui lavoro e che incontro e, con sacrifici, tutto è positivo; ricevo persino tante offerte per vendere – dai francesi, ma non solo – ma davvero sono soddisfatto di quel che ho e di veicolare una napoletanità che sento nel più profondo del cuore. Mi fa star bene…”

A proposito di bene, per Maurizio Marinella, cosa è il Bien Vivre in senso profondo, virtuoso?

“Ritagliare dello spazio e del tempo per se stessi. Una partita con gli amici, uno spaghetto fresco, condividere questi piccoli piaceri, e una passeggiata per il lungomare di Napoli… Viviamo in un vortice in cui tutto è veloce, spesso troppo. Ritrovare un ritmo giusto, per riassaporare sapori meravigliosi che la vita contiene e trasmette ma che noi per un periodo non abbiamo forse saputo più cogliere. Ecco il vivere bene, per me”

A questo punto mi viene da pensare che Marinella sia anche un… modo di essere…

“Forse sì.”

Dentro e fuori.

La showroom di Marinella a Napoli

La showroom di Marinella a Napoli