Rustichella d’Abruzzo

“Rustichella d’Abruzzo”,

magia della pasta

Testo di Marzio Maria Cimini

Fotografie di Franz Gustincich

Foto di Franz Gustincich

Conchiglioni de La Rustichella D’Abruzzo

L’italiano che, nella sua incomparabile sfortuna, non sia mai entrato in un pastificio, non può comprendere la fanciullesca gioia che domina ogni senso. L’esplorazione inizia con un mascheramento:

Cascata di penne La Rustichella d'Abruzzo

Cascata di penne La Rustichella d’Abruzzo

è l’igiene, certo, a dettare il camicie bianco che il mio compagno di ventura mi porge sorridendo, ma non posso nascondere il divertimento da carnescialata che mi pervade in un istante.

Andrea Cardinali è il mio Virgilio. Siamo in terra d’Abruzzi, in quell’area vestina che da Pescara, dal mare, giunge sino al Gran Sasso, alla montagna sacra dell’Appennino, e percorrendo la via antica tocca Moscufo, dov’è il pastificio, e Pianella, dov’è il magazzino, e giunge, dopo aver lambito Loreto Aprutino, fino a Penne. E’ da qui che viene la famiglia di Gianluigi Peduzzi, il padrone della Rustichella d’Abruzzo che produce la pasta rinomata da cui mi arriva già il sottile profumo di farina. Gianluigi è anche socio del Rotary international.

Chissà se nel 1924, quando suo nonno Gaetano Sergiacomo, nel pastificio di via Martiri Pennesi, ha iniziato a mescolare la semola e l’acqua e a spremerla nelle trafile, se c’era questo stesso profumo nell’aria.

Pasta factory La Rustichella d'Abruzzo

Gianluigi Peduzzi accanto ai telai dove riposano gli spaghetti

Ed ecco che, inoltrandomi nel ventre della macchina mugnaia, un caldo materno avvolge i miei ardori bambineschi, e un rumore come di lamentosa locomotiva. Ma non v’è carbone fuligginoso, qui dentro, e tutto è bianco. Rumoroso ma bianco, e anche i mugnai sono bianchi. E la pasta che esce come se mai dovesse arrestarsi dalle bianche macchine, anch’essa è bianca, un bianco che tende al giallo, ma non è ancora gialla come la pasta che siamo soliti versare dalla busta nell’acqua che bolle.

La rugosità donata dalla trafila al bronzo è ben visibile in questo dettaglio

La rugosità donata dalla trafila al bronzo è ben visibile in questo dettaglio

Il profumo però è proprio quello che, nell’istante in cui quel bollore di pentola ingoia e lessa gli spaghetti, esala col vapore all’impaziente che già gusta, cogli occhi e col naso, il piatto  di pasta condita che a breve, dieci minuti al più, avrà davanti al naso, a portata di forchetta. E com’è buono questo profumo. Il mio accompagnatore, tecnicissimo, smorza i miei entusiasmi e, saputo, mi dice che la semola di grano, 100% prodotto d’Abruzzo, si mescola all’acqua della fonte del Vitello d’oro –quante pagane evocazioni!- in un ambiente sottovuoto, perché nulla ne alteri le delicatissime alchimie.

I ditalini ancora morbidi escono dalla trafilatura

I ditalini ancora morbidi escono dalla trafilatura

Poi, la magìa: vedo spremersi in una sorta di doccia dal getto largo e morbido il già setoso impasto, e poi lo vedo scomparire nella macchina chiassona e golosa, e poi, e questa è la magìa che non so dire, la più grande, si fa fusillo. Non uno, non mille, non un milione, forse un miliardo di fusilli scende inarrestabile dal marchingegno che già favoleggio di voler installare nella mia modesta cucina. E si poggia, questo miliardo di fusilli, su uno, su due, su dieci setacci rettangolari che i bianchi mugnai sostituiscono ogni minuto, e colmi come sono di fusilli innumerabili vengono messi l’uno sull’altro a riposare, come su di un letto a castello.

E come un gatto al lardo, come un orso al miele, il fanciullo che è in me non resiste e ruba un piccolo fusillo, golosamente. Morbido e rugoso, si schiaccia sotto le mie dita incredule, abituate come sono ad avere la pasta dura e secca tra i polpastrelli. E il profumo non è né quello della pasta cruda, né quello della pasta cotta, e se non lo avete mai annusato, non lo potete sapere. E golosamente lo mordo, e lo mastico, forse sotto gli occhi celesti increduli, ma più complici, del mio accompagnatore. Com’è buona questa pasta calda, appena uscita dalla macchina favolosa, spremuta in una forma circolare, la trafila, dove tanti buchetti ricoperti di bronzo e ruvidi, le danno la forma che poi l’essiccazione fermerà per sempre.

Perché questo miliardo di fusilli, insieme al miliardo di pennette, e di creste di gallo, e di rigatoni (“che non si spezzano in cottura!”, mi dice orgoglioso Peduzzi), e dei restanti centotrenta tipi diversi di pasta che se pure volessi imparare a memoria farei confusione e non saprei mai ricordare, finisce poi in delle stanze buie, celle ventilate, come monaci in penitenza, per 24-48 ore, in una sauna umida tra i 42 e i 45 gradi costanti. Mi rifiuto di entrarci: non siamo mica in Finlandia!

Pasta factory La Rustichella d'Abruzzo

Gli spaghetti appesi nei telai, aspettano la lenta essiccazione

Ma le cose non possono essere così semplici, e se uno s’inventa centotrenta tipi diversi di pasta, poi deve stare al ricatto delle sue bizzarrie. E infatti la pasta lunga, che è poi la regina delle paste, non esce fuori dalla stessa macchina mugnaia, ma da un’altra, bianchissima pur’essa, che non so donde sprema fuori i suoi filamenti lunghissimi, che non si interrompono mai, e sono come le linee nella geometria euclidea, senza inizio e senza fine, e per essere meglio studiate devono essere fatte a segmenti, a spaghetti lunghi il doppio di quelli che siamo abituati a vedere nelle lunghe confezioni, e che piegano la schiena solo quando le affoghiamo nell’acqua a cento gradi.

Spaghetti

Spaghetti ancora morbidi, in uscita dalla trafilatura

Perché gli spaghetti vengono messi a seccare su certe canne in certe stanze che a certe condizioni (non sono mica il tecnicissimo Andrea che deve stare qui a spiegarvi quali) li immobilizza, senza dubbio con qualche potente sortilegio, così che, pur morbidi e sospesi a mezz’aria, non s’allungano come vermicelli a toccare terra, e resteranno in questa immobilità indotta sin quando non deciderete di fargli la festa con un bel ragù di tre carni. E poi via anche loro nella camera d’essiccazione, in questa sauna finlandese dove resteranno 32, 34, i più indisciplinati tra gli spaghetti anche 36 ore. E alcuni formati più bizzosi, come i furbissimi bucatini -la pasta degli sciocchi, secondo gli osti romani, perché riempie la panza d’aria, mentre la si aspira voraci-, vengono fatti di venerdì, e poi in castigo due giorni, quando –ma io non ci credo- le macchine smettono di fare i miliardi di rigatoni, a riposare. Che pazienza!

La preparazione per il confezionamento

La preparazione per il confezionamento

Una volta che la pasta decide che non ne può più della sauna, promette di mantenere bene la cottura e di comportarsi ammodo coi cuochi, esce fuori da questo inferno rumoroso e caldissimo, dove non mi sono nemmeno accorto d’essere imprigionato e, dopo essersi acclimatato in tepidarium, giunge nel fresco del locale di confezionamento.

E poi? Dove finisce tutta questa innumerevole progenie delle macchine bianche? Solo l’11 percento resterà sul patrio suolo: la gran parte di questi ventimila quintali annui finirà sui mercati di tutto il mondo, che nel corso degli ultimi vent’anni hanno imparato a conoscere la qualità del buon cibo italiano e a distinguerla dalle varie imitazioni che affliggono il mercato alimentare. E così le tenere “trenne”, particolari penne triangolari, vanto della casa, una volta essiccate e imbustate, insieme alle compagne d’altre fogge, finiscono in ben settanta paesi diversi, tra l’Europa, le Americhe, l’Asia e l’Oceania (ai pinguini bisogna ancora insegnare a far bollire l’acqua).

Gianluigi Peduzzi, che dal 1991, insieme alla sorella Stefania, regge la Rustichella d’Abruzzo, mi spiega che, visti i dieci milioni di fatturato annui (venti volte di  più di quello che si incassava all’inizio della sua gestione), se avesse voluto fare investimenti per incrementare la produzione, avrebbe potuto in ogni momento. E invece investimenti ne sono stati fatti, eccome, ma per garantire un prodotto di sempre maggiore qualità, affine e forse migliore di quel prodotto artigianale che si faceva, a Penne, nel 1924.

Composizione mediterranea con penne de La Rustichelle d'Abruzzo

Composizione mediterranea con penne de La Rustichelle d’Abruzzo

Questa pasta “rustica”, perché in origine la farina usata era integrale, e dava un colore bruno, orgoglio d’Abruzzo, finirà sulle tavole dei consumatori più raffinati, nei ristoranti più à la page, nelle boutiques del cibo di qualità, là dove il vessillo del made in Italy garrisce.

Spaghetti

Spaghetti

Da dieci anni a questa parte, ogni anno, quando il grano imbionda, Gianluigi Peduzzi invita i suoi quindici clienti più importanti, da tutto il mondo, e mostra loro dove si coltivano le spiche, come si fa la semola, dove si molisce, come s’impasta… insomma, svela loro le magìe. E poi gli insegna pure, in un eccesso di generosità, a cucinarle e a condirle coi condimenti migliori che l’Abruzzo sa offrire.

C’è da sperare davvero che se ne tornino a casa felici come me, che ho visitato l’officina alchemica di Peduzzi, dove la pasta, per certi misteriosi prodigi, si fa materia dopo essere stata così lungamente il sogno del buongustaio.