Ara Pacis e altre narrazioni

Intervista con Orietta Rossini

di Barbara Martusciello
fotografie di Franz Gustincich

Orietta Rossini e le pareti marmoree dell'Ara Pacis sullo sfondo

Orietta Rossini e le pareti marmoree dell’Ara Pacis sullo sfondo

Orietta Rossini, funzionario della Sovraintendenza del Comune di Roma, è autore di studi e monografie a carattere archeologico, svolge collaborazioni giornalistiche con riviste specializzate nel settore e dal 1993 lavora presso i musei di Arte Antica interessandosi di museologia e di divulgazione archeologic.a. E’ socio onorario del Rotary International

Tra i volumi da lei firmati, l’interessante Museologia e didattica museale. I musei di Roma e del Lazio del 1999 per Gangemi, Museo Barracco. Storia della collezione, cofirmato nel 2000 con Maresita Nota Santi ed Elena Cagiano de Azevedo ed editato dall’Istituto Poligrafico dello Stato. Il suo libro Nuova Ara Pacis per Mondadori Electa conferma la sua conoscenza e competenza in merito al Museo dell’Ara Pacis (Augustae) che attualmente dirige come Curatore responsabile, dopo aver fatto parte dello staff che lo ha realizzato. Attualmente Claudio Parisi Presicce è Direttore e Orietta Rossini Curatore responsabile dell’Ara Pacis.

Questa struttura museale racchiude una pregevole memoria ovvero l’Altare della pace augustea. Questo è un grande altare dedicato da Augusto nel 9 a.C. alla dea della Pace che era in origine allocato lungo la via Flaminia in Campo Marzio. Consacrata alla celebrazione delle vittorie, accoglieva il console di ritorno da una spedizione militare e nei rilievi esaltava le virtù di Augusto e della sua dinastia attraverso la rappresentazione di temi religiosi, del buon governo e della prosperità. Nei secoli, le continue inondazioni del Tevere, le erosioni, le alluvioni provocarono l’interramento della costruzione che fu smembrata. Nel 1568 se ne riscoprirono importanti frammenti, smembrati (addirittura esposti al Louvre altri murati sulla facciata interna di Villa Medici) e solo alla fine dell’Ottocento Friedrich von Duhn ipotizzò si trattasse dell’Ara Pacis augustea: nel 1903 se ne recuperarono nuovi resti e solo nel 1937 si recuperarono molte parti importanti del monumento grazie a tecniche di scavo e archeologiche innovative.

L'Ara Pacis

L’Ara Pacis

Affermò Ranuccio Bianchi Bandinelli in Roma – L’arte romana nel centro del potere (1969): «Non è una grande opera d’arte, ma è una testimonianza estremamente tipica del suo tempo». Così, infine, si decise il restauro e il ri-assemblaggio dell’Ara, grazie all’archeologo Giuseppe Moretti, e si pensò alla sua tutela e valorizzazione tramite una grande scatola-teca realizzata da Vittorio Ballio Morpurgo nell’estate del 1938: questa struttura la contenne per quasi settannt’annni. Di fatto, a causa all’intensificarsi, nel tempo, dello smog dovuto all’aumento esponenziale del traffico cittadino e delle connesse vibrazioni continue, quella prima sistemazione divenne inadatta alle esigenze di buona protezione ed esposizione dell’opera. Fu quindi sostituita dalla struttura dell’archi-star newyorkese Richard Meier, inaugurata – dopo sette anni di lavori – in occasione del Natale di Roma il 21 aprile 2006. Le polemiche relative al nuovo progetto – da taluni considerato invasivo e poco filologico rispetto alla piazza, da talaltri non necessaria e troppo costosa per una città che abbisognava di ben altro in quegli anni, da ulteriori critici desueto rispetto ai canoni di un’architettura più contemporanea – si placarono solo per la testimonianza dell’apprezzamento che romani e turisti dimostrano per quest’agorà e soprattutto dopo aver letto i numeri dei visitatori, in costante crescita, forse anche più di quanto ci si sarebbe aspettato. Per fare un esempio, nel 2014 il Museo ha contato 307.668 persone, con un aumento rispetto al 2013 del 18,67% e considerando la sua ampiezza contenuta.

Questo apparato museale ed espositivo – non ricreativo, dato che non è stato mai aperto il promesso roof-garden – ha accolto mostre di vario genere e differente qualità: dal Fashion made-in-Italy di Valentino a tantissima fotografia (nel 2007: Antonio Biasiucci e Ara Güler, il più grande fotografo turco, una mostra della Magnum Photos e Contrasto nel 2009, gli immancabili Sebastião Salgado, 2013, ed Henri Cartier-Bresson settembre 2014 – gennaio 2015); da mostre sul Design (Jean Prouvénel 2008, Bruno Munari tra il 2008 e il 2009, Alessandro Mendini nel 2010, Disegno e Design sui brevetti e Creatività Italiani tra il 2009 e il 2010), ad altre più popolari (su Fabrizio De André, 2010), brevi (come la fotografica sui cinquant’anni della Storia di Telespazio e dell’Italia dalle trasformazioni nel campo delle telecomunicazioni a quelle nell’industria spaziale 19 – 21 ottobre 2011), inconsuete (i paesaggi dell’housing, cioè dell’edilizia residenziale a basso costo, nel 2011); scandalose (l’evento che vide automobili elettriche Dany esposta fuori dal Museo e dentro, proprio davanti all’Ara augustea, con tanto di mondanità all’inaugurazione, 2010) o rare come quella, del 2009 – 2010, in occasione del Centenario del Futurismo, che propone al pubblico Genio Futurista di Giacomo Balla: grande opera realizzata per l’Esposizione Universale di Parigi del 1925, non più esposta da oltre trent’anni e fresca di restauro grazie ai proprietari Laura e Lavinia Biagiotti. Ci sono state anche mostre sul Cinema e il suo mondo (da Audrey Hepburn a Enrico Lucherini, a Vittorio De Sica), di documentazione come quella, del 2015, sulla progettazione e realizzazione del quartiere EUR, e altre mostre (Chagall. Il mondo sottosopra, dicembre 2010 – marzo 2011; Avanguardie russe – Malevič, Kandinskij, Chagall, Rodčenko, Tatlin e gli altri, nel 2012) tra cui scelte block-buster (Gemme dell’Impressionismo Dipinti della National Gallery of Art di Washington, nel 2013 – 2014) e altre a mio avviso più deboli, come l’attuale in corso: Toulouse-Lautrec – La collezione del Museo di Belle Arti di Budapest (chiusura: 8 maggio 2016) una mostra-pacchetto priva di opere davvero significative e quasi un trasloco dato che proviene da un unico prestatore.

Nutrire l'impero

Nutrire l’impero

Bella, invece, l’originale Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei (2 luglio – 15 novembre 2015), curata da Claudio Parisi Presicce e da Orietta Rossini in occasione dell’EXPO 2015, ma sganciata dalle tante mostre-luna-park proposte per l’occasione; al contrario, quest’esposizione si è posta come rigorosa e filologica narrazione visiva sul mondo dell’alimentazione in età imperiale quando, intorno al bacino del Mediterraneo, si avviò la prima “globalizzazione dei consumi”. Da questa mostra partiamo per conoscere meglio Orietta Rossini a cui chiediamo:

Arte e Cibo sono due elementi che hanno fatto grande il nostro Paese e che rappresenterebbero il nostro “pane”, o il nostro “oro”. Questa mostra (Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei curata dal Soprintendente capitolino ai beni culturali, Claudio Parisi Presicce, e proprio da Orietta Rossini in occasione dell’EXPO 2015) sembra un emblematico suggerimento della strada da prendere per allontanarci dalla crisi e ritornare eccellenza riconosciuta…: sto uscendo dal seminato?

No, anzi, è vero. Nell’antichità, nel periodo primo-imperiale avevamo un dominio politico ed economico sul mondo intero conosciuto allora, e l’arte e specialmente il cibo erano compresi in questa visione; il secondo (il cibo, n.d.R.) è rimasto tutt’oggi parte di un nostro dominare… più dell’arte di oggi, a livello internazionale…

Nutrire l'Impero - Fichi fossilizzati

Nutrire l’Impero – Fichi fossilizzati

A livello internazionale, gli artisti contemporanei viventi e under sessanta che sono riconosciuti nell’Olimpo del Sistema e quindi nel Mercato dell’Arte si contano sulle dita di una mano; molti di più i prodotti e gli alimenti del nostro territorio…

Vero. Anche se il consumo del cibo si è internazionalizzato, quello italiano mi pare sia posizionato benissimo; va anche ricordato che pure nel periodo che abbiamo trattato in mostra c’era una forte internazionalizzazione: la commistione tra cibo chiamiamolo romano-italiano, e quello prodotto nell’ampio bacino del Mediterraneo era enorme ed anzi questo era molto più diffuso. La mostra ha raccontato anche questo…

Il fenomeno si è esteso a tal punto che oggi è rilevabile in ogni settore, amalgamando molti riferimenti diversi e, dirò di più, le epoche. Faccio l’esempio dei cartelloni pubblicitari di spettacoli teatrali in cartellone e che ho incontrato nel percorso da Piazza di Spagna a Piazza Augusto Imperatore: uno indicava Il Marchese del Grillo e un altro Jesus Christ Superstar. Ecco: al di là della grafica, se io avessi fatto la stessa strada negli anni Settanta, avrei trovato gli stessi spettacoli! Tutto si sovrappone, va e viene…

Melting Pot…

Sì. Una mescolanza…

…buona?

Non sempre ma sì, spero di sì… Si fanno messe in scena, si fa Cinema e si fa Arte per le gran masse, e in questo senso tutto funziona, così come avviene per il cibo, che è stato interessato a questa massificazione, ha avuto questa involuzione…; ma allo stesso tempo, c’è una crescita, una ricerca di qualità, e il gusto si aguzza: così, si formeranno fruitori più esigenti, i più affinati avranno un proprio peso, esisteranno sempre e altri se ne creeranno, scoprendo altre realtà, confermandole, rafforzando altri canali di maggior peso e consistenza.

Nelle grandi città, ma anche in quelle piccole, ad esempio, si stanno ampliando certi fenomeni, ovvero di apertura di professionalità e creazioni di eccellenza, piccole, spesso giovani, innovative, che basano il proprio lavoro e prodotto sulla qualità, mescolando tradizione e sperimentazione. Ecco: questo non morirà mai…

Nutrire l'Impero

Nutrire l’Impero

Anche in tempi di crisi?

Anche, sì: ci si ingegna…

Orti urbani, Km 0, gruppi di acquisto, produzioni eque e solidali…; e nella cultura iniziative a costi contenuti ma comunque speciali, piccole chicche, mostre specifiche… Questo intende?

Certamente, è così. Difficile, faticoso, ma concreto ed opportuno.

A tal proposito, in quest’ottica, pensate di “esportare” la mostra Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei?

Ci stiamo lavorando da un po’… Non è semplice, ogni cosa che si organizza prevede costi da sostenere che non sempre si riesce a gestire; allora si deve rimodulare tutto, di nuovo…

… per esosità dei costi assicurativi e di trasporto, per esempio…?

In effetti sì. Ma è sempre e comunque possibile raggiungere risultati…

Dove pensate di portare la mostra, dunque?

Stiamo pensando alla Cina… ma ne riparleremo.

Con piacere.

Ara Pacis

Ara Pacis

Tornando invece più strettamente al Museo di cui è curatore responsabile, prima di tutto: quali sono gli attuali numeri dell’Ara Pacis? Quanto pubblico, quanti guadagni tramite sbigliettamento?

Ottimi, davvero. Devo anche precisare, anzi evidenziare una cosa: quando si stilano classifiche e si computano numeri, si deve necessariamente farlo in maniera precisa, ovvero, per esempio, considerando l’ampiezza e i contenuti di un museo. E’ evidente che lo sbigliettamento dell’Ara Pacis non può essere paragonabile a quello degli Uffizi e che entrambi non possono competere con il Louvre o con il Moma! Quella capienza, la connessa presenza di eventi, mostre, opere sono ben più grandi rispetto a quelle di un’Ara Pacis e se ne dovrebbe tenere conto e iniziare a contare – lo dice il Direttore oggi sostituito degli Uffizi – a visitatore diviso per metro quadro! Ad ogni modo, siamo molto soddisfatti perché quasi vicini al sold-out…

Piccole, dolenti note: lo scandalo del vetro a copertura che non tiene sotto la pioggia…; gli alti costi della pulitura dei vetri, specialmente dal guano dei piccioni e dei gabbiani; la mancanza del più volte promesso roof-garden…

La questione del vetro è stata superata, stesso dicasi per i costi di pulitura: guardi che meraviglia questa luce che filtra dai vetri, questo rapporto con l’esterno…

Orietta Rossini all'interno della teca dell'Ara Pacis, ed il riflesso della città sul vetro

Orietta Rossini all’interno dela teca dell’Ara Pacis, ed il riflesso della città sul vetro

…una giustapposizione tra dentro e fuori…

Sì, un fuori di cui non si avverte rumore alcuno… quasi un miracolo!

Sul Roof-Garden ci sono, invece, questioni complesse: di conformità a clausole e norme che speriamo di risolvere. E’ vero: manca un punto di aggregazione di maggior permanenza. E’ necessario. Probabilmente molto si risolverà quando si farà il restilyng dell’intera piazza, aprendo il mausoleo di Augusto e collegando tutto, Ara Pacis – ovviamente – compresa.

Parliamo di questioni più da Beni Culturali e Architettonici: secondo lei, l’opera di Meier ha finito per oscurare il Mausoleo di Augusto?

Ma no, anzi, al contrario. Come può vedere lei stessa, anche verificando quante persone sostano ogni giorno qui fuori, tutto è vissuto come una grande agorà: sia in esterno che all’interno. Le critiche sono state messe da parte grazie alla buona risposta della collettività e la piazza, le chiese, ne hanno tratto giovamento. Tutto ciò migliorerà, come ci siamo detti, quando l’intera piazza sarà ristrutturata e ogni edificio sarà valorizzato e collegato e soprattutto si aprirà il mausoleo di Augusto.

L’Ara Pacis è un museo che accoglie mostre ma ne produce pochissime. Che senso ha? Ci racconta meglio come funziona questo spazio romano

Noi non produciamo molte mostre per problemi di budget. Ne abbiamo concepite alcune a mio avviso importantissime e molto riuscite: la citata Nutrire l’Impero e L’Arte del comando. L’eredità di Augusto nel 2014. La situazione della Soprintendenza Capitolina è quella che vediamo e sappiamo, pertanto… Oggi dobbiamo, anzi, ringraziare nuove colleghe archeologhe e storiche dell’arte, ma – ribadisco – il contesto in cui lavoriamo è molto complicato e in austerity.

Scaldavivande. Da Nutrire l'Impero

Scalda vivande. da Nutrire l’Impero

In ogni caso, l’Ara Pacis non è uno spazio per artisti non storicizzati, né per proposte più contemporanee. Qualche exploit c’è stato: la sound art adattiva di Michelangelo Lupone in collaborazione speciale con Licia Galizia nel 2009; il primo evento site specific pensato per gli spazi del Museo nel 2008 da Mimmo Paladino e Brian Eno; il monolite “nomade” di Roberto Pietrosanti (nel 2012) e la scultura pubblica dell’americana Beverly Pepper (nel 2014 – 2015) tutte e due all’esterno dell’Ara Pacis; A parte ciò – senza dimenticare la Street Art di Fausto Delle Chiaie, geniale e non omologata personalità artistica che ha eletto autonomamente questa Piazza a suo quartier generale – non c’è stato spazio per artisti e progetti più attuali…

Peccato, non trova? Come mai?

Perché il rischio che potremmo correre – come sempre quando ci si occupa di arte più attuale – è di fare promozione per questi o quegli artisti/gallerie /gruppi, di cadere nella discrezionalità e in possibili tranelli del sistema e mercato dell’arte che proprio non ci interessano, perché siamo una struttura scientifica. Inoltre, dovremmo chiamare altri, esterni – storici e critici di contemporaneo – a cui affidarci completamente poiché le nostre specializzazioni e competenze sono specifiche; dunque, preferiamo gestire ciò che attiene ai nostri campi di ricerca, a meno di confrontarci con istituzioni super partes e preparate, e allora dovremmo ritrovare un assessore come Renato Nicolini. Ad ogni modo, gli spazi per il contemporaneo a Roma non mancano…

Vero, manca altro, infatti… A riguardo, lei ha grande competenza nel campo specifico della museologia e della didattica museale (anche per il citato libro editato nel 1999 da Gangemi): ci può riassumere la situazione dei musei italiani? Gioie e dolori? E di quelli di Roma e del Lazio?

Molti dolori, direi. Pochi finanziamenti specialmente per i musei più piccoli, e specialmente fuori dal centro attrattivo-Roma. Siamo pieni di posti da valorizzare e, spesso, prima di tutto addirittura da salvaguardare, restaurare.

Roma cannibalizza la sua Provincia e la Regione, ma forse questo fatto potrebbe – con più lungimiranti politiche di ridistribuzione (di budget, del personale, delle professionalità ma anche dell’attenzione alle sue realtà) – essere modificato, non crede?

Assolutamente. Invece non è sensato che i turisti arrivino a Roma (che ha di insensato, il più delle volte, pure i suoi prezzi!) consumino la sua cultura così velocemente disinteressandosi di Villa d’Este, per esempio, del Museo del giocattolo di Zagarolo, di Caprarola, Cerveteri, Ostia Antica…

Tale disattenzione istituzionale arresta ogni possibilità di sviluppo di molte realtà regionali e provinciali, mettendone in dubbio la loro stessa esistenza e sussistenza, figuriamoci la loro fruizione!

Infatti, sì, è proprio questo il grande dilemma tutto italiano.

La mostra su Toulouse Lautrec

La mostra su Toulouse-Lautrec

La verità, a mio avviso, è che il problema della politica culturale in Italia è… la politica!

Brava! Se lei pensa che raramente sono stati messi dei competenti a dirigere il Ministero dei Beni Culturali si capisce quale peso la politica dia alla Cultura nel nostro Paese. Al Ministero dell’Economia ci andrà necessariamente un economista preparato, un tecnico, perché ai Beni Culturali no?

Come fosse terra di nessuno e di conquista di poltrone…

Appunto. Inaudito. Chiederemo conto a Franceschini di quelli che sono i risultati del lavoro dei nuovi Direttori… Spesso questi, e i manager, ignorano i meccanismi burocratici e le leggi italiane se sono stranieri – così ci toccherà pagare ancora e ancora: tecnici e task-force che li istruiscano – e, in generale, non conoscono il territorio in cui sono stati chiamati a lavorare. E in esso, tra l’altro, mancano i collegamenti ferroviari, per esempio…

Non ci pare un problema che tocca l’Ara Pacis, per fortuna! Relativamente a questa, vedo che il grande plastico che la racconta è stato finanziato dal Rotary, che tiene qui, anche, ogni anno, un importante Premio Nazionale Ara Pacis che nell’edizione 2015 è andato all’Unesco. Ci vuole raccontare di questa collaborazione?

Guardi: se non avessimo avuto gli amici del Rotary molte cose non le avremmo potute fare né avere… Siamo storicamente legati al Rotary come fossero gli Amici dell’Ara Pacis: come unica istituzione fattivamente dedita a noi, ci hanno seguiti nei momenti di difficoltà. Mi piace ricordare, tra tutti, Astolfi, discreto, competente e davvero impagabile nell’impegno profuso.

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Lei ha detto “come fossero gli Amici dell’Ara Pacis” intendendo che questa struttura di appoggio e valorizzazione del Museo non l’avete?

Non specifica, c’è quella più generale…

Allora possiamo dare la notizia che Rotarian Gourmet si attiverà sin da ora per crearla….

Sarebbe magnifico! Queste associazioni e fondazioni funzionano molto bene, ne abbiamo molto bisogno: la Cultura, l’Arte ne hanno!

Mi sento di dire: e viceversa…

Pienamente: è vero!

La parete esterna della tec dell'Ara Pacis sul lato di via della Scrofa

La parete esterna della teca dell’Ara Pacis sul lato di via della Scrofa

L’arte è qualcosa che attiene al Bien Vivre in senso profondo, virtuoso, culturale e di accordo tra forma e contenuto… A questa, e in quest’ottica del Vivere bene, cosa affiancherebbe?

Certamente la Conoscenza in senso globale, quindi la ricerca scientifica. Vale la pena di vivere, e si vive meglio, apprendendo e capendo il più possibile e anche le Scienze ci aiutano in questo. Poi, naturalmente, in questa Conoscenza subentrano i nostri sensi e allora aggiungerei al Vivere Bene il godimento intelligente, che riguarda il gusto: il buon cibo, il buon vino, i buoni alimenti che in Italia non mancano… Si pensi alle Nature morte, che altrove chiamano – meglio, vero? – Natura ferma… A tavola si conoscono meglio le persone, si ha più tempo per farlo e capire, molti sodalizi, anche culturali, sono nati così…

Ma a tavola sono state tessute anche trame politiche; e assassinii, molti avvelenamenti…

E’ vero! Però anche la gioia di vivere, l’energia si alimenta a tavola…: mi viene in mente il vino, in particolare, così legato alla sfera dell’Arte: si pensi a Dioniso, alle tantissime rappresentazioni di Bacco e dei baccanali…

Sa che ho tenuto e tengo delle lezioni, su questi temi? Unire la Storia dell’Arte a questi soggetti credo sia uno dei modi per avvicinare in maniera piacevole e apparentemente leggera il pubblico non troppo avvezzo all’argomento. Forse è un po’ quello che fate qui, per esempio con la mostra in corso, divulgativa e di ampio consenso.

Un po’ è anche così. Nulla di male, se tutto è fatto in modo scientifico, serio, filologico, ben condotto: no?

Assolutamente sì. A riguardo: progetti nell’immediato futuro?

Una mostra fotografica sul giapponese Domon Ken in collaborazione con l’Ambasciata giapponese; poi avremo un’altra mostra a suo modo fotografica su Picasso e la Fotografia.

Sempre accolte e non prodotte…

Sì, ma abbiamo tempo, tante ipotesi da verificare, altre idee da portare avanti…